Capitolo 1
Frammenti dalle memorie di Trevor
Ero disperato, non riuscivo a trovarlo, pur avendo guardato ovunque. Avevo assunto il mio incarico da pochi giorni, forse qualche scusante me l’avrebbero concessa, ma non volevo sfigurare così, davanti al mio Re.
“Sono l’educatore di suo figlio e vado a perderlo così. Ormai è l’ora di pranzo, come mi presento?”
In quel momento dalle cucine risuonarono le campanelle dell’invito a tavola. Sconsolato mi avviai all’interno del palazzo, dove si trovava il salone da pranzo. Mentre avanzavo buttavo l’occhio tra le piante in fiore e tra i folti cespugli del giardino ma non c’era traccia del ragazzino e non potevo più tardare. Mi affrettai. Qui nella residenza estiva di sua Maestà la vita di corte, complicata e formale, non veniva applicata. Per volere del Re, era tutto più semplice, non c’erano cerimonie e anche uno come me, poteva sedersi a tavola con il sovrano e con la Regina.
Quando raggiunsi il salone da pranzo il mio imbarazzo fu enorme; erano tutti in piedi attorno alla lunga tavola imbandita e pregavano. Il Re mi guardò senza espressione e mi fece cenno di andare al mio posto. Lo stupore e un po’ la stizza mi presero quando, giungendo al mio posto, mi resi conto che Glauco era già lì e sotto sotto se la stava ridendo.
“Fai pure lo spiritoso” pensai rosso di rabbia “Ma non mi freghi più un’altra volta, moccioso!”
Finita la breve preghiera, ero sul punto di sedermi per iniziare a mangiare, quando:
“Trevor,” risuonò la voce potente del Re, che mi fece battere il cuore a mille. “Mio figlio è un lazzarone, lo sappiamo tutti, ma non lasciatevi abbindolare così facilmente, altrimenti tra qualche giorno vi mangerà in testa!”
Ci fu una risatina generale.
“Sì, Maestà. Non accadrà più.”
Fulminai Glauco con gli occhi, il quale si fece serio.
Il pranzo era ricco e abbondante, la tavola era imbandita di ogni delizia, non c’erano camerieri che servivano i piatti, ogni commensale si serviva a suo piacimento, Re compreso. Mi stupii quando lo vidi alzarsi e girare attorno alla lunga tavola in cerca di un po’ di patate da accompagnare alla selvaggina arrostita, che aveva nel piatto. Glauco era l’unico che veniva servito, altrimenti non avrebbe mangiato niente. Sedeva alla mia sinistra e alla sua sinistra sedeva sua madre, la Regina Annamaria. Un po’ io, un po’ lei, mettevamo nel suo piatto ciò che riuscivamo a prendere senza doverci alzare. Glauco era molto magro e non riuscivo a capire da dove provenisse quell’energia che consumava nelle sue giornate, anche a tavola non riusciva a stare fermo un attimo. Lo osservai con attenzione e già mi stavo affezionando. Poi, piano piano, attraverso lui, misi a fuoco sua madre, donna elegantissima e dolce nei modi, molto magra e giovanile. Il viso sereno, liscio, chiaro e non ancora segnato dal tempo. Non riuscivo ad attribuirle un’età. Ascoltava la conversazione allegra degli altri commensali e ogni tanto sorrideva dando un’occhiata alle persone che chiacchieravano tra un boccone e l’altro. Interveniva di rado. Vicino a lei c’era il Re, capotavola. Uomo grande e forte, qualche ruga attorno agli occhi, una barba corta, leggermente imbiancata, ma molto ben curata. Era un uomo affascinante. Si poteva credere che avesse vent’anni in più della moglie, in realtà erano coetanei. Compresi che era preoccupato: i suoi grandi occhi marroni seguivano lo svolgimento del dialogo, ma si capiva che con la mente pensava ad altro. Improvvisamente, quasi si fosse reso conto che lo stavo osservando, voltò lo sguardo verso di me e disse:
“Trevor, dopo facciamo una passeggiata nella vigna. D’accordo?”
“Sì, certo Maestà, come desidera.”
Lo sguardo di Glauco si fece cupo, sapeva che probabilmente avremmo parlato di lui.
Per un attimo calò un completo silenzio, mi sentii in imbarazzo, poi ripresero le chiacchiere. I commensali erano le persone più vicine al Re e alla sua famiglia ed erano tutti un po’ sorpresi nel vedere il sovrano darmi tanta importanza. Io, l’ultimo arrivato, ero stato scelto per fare una passeggiata a fianco del Re, come se fossi un vecchio amico. Mangiai osservando gli altri, che sembrava non dessero più peso all’accaduto, ma ero certo di essermi fatto già dei nemici.
Un’ora più tardi mi trovavo tra i filari di una vigna con il mio sovrano. Ci eravamo allontanati da Courte Village quanto basta per vederla tutta nel suo splendore di grande villa bianca circondata da mura non molto alte, all’interno delle quali oltre allo splendido palazzo, c’erano la casa del custode, le scuderie, giardini ben curati e, vicino all’accesso principale, una torre utilizzata dalla cavalleria reale come prigione e centro di controllo del territorio.
Passeggiavamo già da parecchi minuti senza parlare. Venti passi più avanti ci precedevano due guardie armate, altre tre ci seguivano. Rimanevano alla giusta distanza, perché non potevano e non dovevano ascoltare le nostre parole, ma limitarsi a sorvegliare e controllare tutto ciò che accadeva attorno a noi. C’era silenzio e pace, gli unici rumori erano quelli della natura e dei nostri passi, il caldo estivo si faceva sentire. Non capivo perché il Re non mi parlasse. Avrei voluto iniziare un dialogo qualunque ma forse era un errore: quale argomento avrei potuto impostare?
Finalmente si fermò e mi fissò negli occhi per qualche istante, poi disse:
“Non temere Trevor, non ho rimproveri da farti.” Mi dava del tu, come a un vecchio amico. “Bensì, una missione da affidarti. Ritengo che tu sia la persona più adatta qui a Corte.”
Il mio stupore era chiaramente visibile, perché lui sorrise un po’ amaramente ricominciando a camminare.
“Com’è il tuo paese, Trevor?”
“È fantastico, Maestà.” risposi con sincero entusiasmo.
Aveva toccato un argomento di cui avrei potuto parlare per ore, senza stancarmi e senza annoiare chi mi ascoltava, ma mi frenai.
“Tuo padre era un uomo eccezionale e forse molte cose su di lui non le sai. Lui fece una scelta molto rischiosa quando stavi per nascere. La famiglia di sua moglie era molto potente e lo è ancora, ma un affronto così non lo poteva sopportare, così lui chiese il mio aiuto. Eravamo molto amici. Non riuscivo a capirlo ma lo aiutai, lo protessi, feci in modo che potesse andarsene. Col tempo di lui e dello scandalo che ne era nato, non si parlò più. Ma tutte le volte che avevo bisogno di lui, arrivava, in incognito, puntuale, spesso senza che nemmeno lo mandassi a chiamare. Era il mio angelo custode, un amico fedele di cui potevo fidarmi. Un sovrano di rado è così fortunato ad avere un amico leale e disinteressato, come lo è stato tuo padre per me.”
Smise per qualche istante di parlare e alzò il viso al cielo. Sentii che stava per dirmi cose importanti, capii che non erano chiacchiere sull’andamento scolastico di Glauco l’argomento di questo incontro, ma qualcosa di molto più serio. Mi guardai attorno e mi resi conto che ci eravamo allontanati parecchio dalla corte. Nonostante l’ora, una brezza leggera rendeva la nostra passeggiata piacevole e l’ombra delle viti cariche di grappoli ancora acerbi ci riparava dal sole cocente. Eravamo in quel luogo non per caso o per diletto ma per una precisa scelta del sovrano che voleva evitare occhi e orecchie indiscreti.
“Tu sei suo figlio,” riprese con tono grave. “So che ti ha cresciuto seguendo i suoi stessi principi, libertà e onestà. L’ultima volta che lo vidi, mi disse che se avessi avuto bisogno di te, avrei potuto fidarmi come se si trattasse di lui stesso. Ora ti prego di aiutarmi.”
Ero sbalordito, non potevo credere alle mie orecchie, un sovrano così potente che chiedeva aiuto a uno come me. Un mezzo sangue di colore, ultimo arrivato presso una corte di ricchi potenti e di guerrieri esperti. Non riuscivo a immaginare come avrei potuto aiutarlo. Mi tremavano le gambe, non osavo guardarlo in faccia, ma quando alzai lo sguardo, vidi i suoi occhi tristi, pieni di speranza. Sperava sinceramente in un sì, sperava realmente che io fossi l’uomo che l’avrebbe aiutato.
Arrivati in fondo al filare, improvvisamente sentimmo un fruscio provenire da un grosso cespuglio di profumati lillà non molto distanti da noi. In meno di un secondo le guardie ci avevano accerchiato, puntando le armi verso le piante.
Il comandante Urshlock intimò: “Chi va là? Uscite immediatamente allo scoperto oppure saremo costretti a usare le armi.”
Dal verde delle foglie arrivò una vocina:
“Padre sono io, Glauco.” Il cespuglio lentamente si aprì, spuntarono tra il verde, i capelli dorati e poi gli occhi azzurri. “Padre, stavamo giocando, non sapevo che sareste venuti qui.”
Il comandante a quelle parole si mosse subito e urlò: “Fuori dai cespugli, chi c’è con voi Principe Glauco?”
“Non c’è nessun pericolo, comandante. È la mia amica.”
“Perché non esce?” Il tono era fermo e arrabbiato.
“Perché ha paura di Voi.” rispose il bambino scocciato.
“Comandante allontanatevi.” ordinò il Re, avvicinandosi al cespuglio.
“Maestà, potrebbe essere pericoloso.”
Tuttavia il sovrano gli fece cenno di mettersi da parte e il comandante obbedì, pur rimanendo sempre allerta.
Lo osservai per qualche istante: viso da scimmia e corpo imbottito di muscoli quasi sproporzionati, tanto erano evidenti. Mi sembrava il classico mercenario, che ha solo voglia di combattere e va dove ci sono più soldi. Non mi dava fiducia, eppure il sovrano si era messo nelle sue mani. Mi scrollai di dosso quei pensieri e seguii con lo sguardo il Re, che si avvicinava al cespuglio con passo deciso:
“Glauco, come si chiama la tua amica?”
“Federica.”
“Come l’hai conosciuta?”
“È la figlia del custode, padre.”
“Federica, esci non ti farò nulla.”
Un attimo dopo, si aprì il cespuglio ed ebbi come l’apparizione di un angelo. Occhi blu del mare, capelli lunghi e biondissimi, la fanciulla indossava un abitino azzurro, semplice ma curato. Fece un piccolo e frettoloso inchino e poi rimase immobile, con gli occhi spalancati a guardare il Re, il quale a sua volta sembrava incantato.
Dopo qualche istante egli prendendole le manine, disse: “Federica, ogni anno che passa sei sempre più bella.”
“Grazie, Maestà.” rispose con una vocina brillante e accennando a un altro velocissimo inchino.
“Tuo padre dov’è?”
“Sta lavorando alle stalle, Maestà! Perché?”
“Non essere impertinente, bambina! Porta rispetto al tuo Re” tuonò il comandante.
“Non importa, è una bambina, lascia che sia spontanea. Finché può!” Poi rivolgendosi a lei aggiunse: “Voglio andare a trovarlo, più tardi.”
“Chi? Mio padre?”
“Sì, tuo padre.”
“Evviva! Con il vostro permesso, vado subito a dirglielo. Sarà contentissimo!” … e in un attimo sparì, non prima di aver fatto un altro velocissimo inchino.
Rimanemmo tutti immobili e sorpresi, mentre Glauco, con gli occhi, implorava suo padre di poterla seguire.
“Vai Glauco” disse il Re sorridendo “Va’ a giocare.” … e in un altro attimo anche lui era già lontano.
Guardò suo figlio allontanarsi, mentre le guardie si ridisponevano a debita distanza.
D’improvviso, con lo sguardo ancora fisso sul figlio che correva via, sussurrò:
“Devi giurarmi che proteggerai sempre Glauco, che lo farai anche a costo della tua stessa vita.”
Strinse i pugni e alzò nuovamente gli occhi al cielo. So che avrebbe voluto afferrarmi per le braccia e farmi sentire il suo contatto fisico ma si sforzò soltanto di sorridere, perché doveva sembrare che stessimo parlando di niente.
“Giuramelo!” ripeté con tono più sostenuto, ma senza esagerare.
“Maestà!” sorrisi. “Credo proprio di non capire. Non fraintendete, io posso fare un giuramento tanto solenne, ma se credete che vostro figlio sia in pericolo, perché chiedete aiuto a me? Non sono potente, non ho appoggi politici se non il vostro, non conosco quasi nessuno, qui. In più sono convinto di avere già dei nemici, che mi vogliono morto, solo perché ora sono insieme a voi. Forse sono la persona sbagliata, la meno adatta a questo tipo di compito.”
“No, nessuno più di te è adatto. Tu puoi insegnargli cosa sono la libertà, l’amore e la giustizia. Così lo renderai forte, invulnerabile. Degno di diventare un grande Re.”
“Maestà, credo ancora di non capire. Il Principe Glauco è il Vostro secondogenito, come può …”, mi interruppe bruscamente.
“Portalo con te nel tuo paese, a Southterrae.”
Spalancai gli occhi e lo guardai sinceramente stupito. Non avevo più parole né per obiettare, né per chiedere.
“Voglio prima di tutto, che mio figlio diventi un uomo. Un uomo coraggioso, pieno di passione e di quei sentimenti onesti, di cui questo mondo è così vuoto. Devi farne un uomo colto, brillante nel pensiero e un guerriero forte e leale. Un uomo che sappia governare le proprie passioni e che sia in grado di amare la propria donna, la propria famiglia e il proprio popolo. Un uomo che sappia cos’è l’onore, l’amicizia e la fedeltà. Soltanto così potrà sconfiggere i nemici che incontrerà sul suo cammino.”
Un leggero venticello fece muovere le fitte foglie, ma il loro dolce fruscio non mi distrasse dallo strano discorso del Re.
“Non chiedermi altro,” proseguì egli fissandomi con determinazione. “Sai già qual è il destino di Glauco, forse ti ho detto anche troppo. Credo di poterlo affidare soltanto a te, come tuo padre poteva affidarti soltanto a me, quando avevi l’età di Glauco. Sono certo che hai bisogno di tante risposte, ma adesso non posso fornirtele; ogni cosa a suo tempo. Non negarmi il tuo aiuto.”
“Maestà, siete sicuro che un viaggio attraverso Southterrae sia adatto?”
“Tuo padre mi ha parlato di quel paese così impervio e selvaggio, però ancora genuino e semplice nei sentimenti, dove esiste l’onore e non c’è l’invidia. Voglio che Glauco sappia, perché ha toccato con mano. Pensateci Trevor e … e tenetemi informato sugli studi di Glauco!”. Re Vittorio aveva cambiato tono, perché si stava avvicinando qualcuno.
Capii che per il momento il nostro colloquio era finito e dovevo stare al gioco.
“Certo Maestà, sarà fatto.”
Ci raggiunsero due nobildonne insieme alla Regina. Non le avevo ancora conosciute, e quando il Re ci presentò, la loro espressione “Piacere di conoscerla”, mi suonò falsa come il loro sguardo. Indossavano come la Regina abiti sfarzosi, con ampie scollature, ricchi di merletti e pizzi. Vista la stagione calda, si facevano ombra con ombrellini chiari e tenevano i capelli legati in splendide acconciature. Però, la bellezza delle due dame non era pari a quella della loro sovrana.
“Maestà,” disse la Regina, “Vi unite a noi per una passeggiata verso il fiume?”
“Sarei felice di poterlo fare, ma ho promesso di andare a trovare il custode. Sarà per un’altra volta.”
Il sorriso allegro che le illuminava il viso si spense, ma subito aggiunse: “Il custode sarà certamente alle scuderie, possiamo fare una parte di strada insieme?”
“Un tratto di strada insieme a tre dame come voi? Per me è un onore!” Poi si rivolse a me: “Trevor, mi sembrate una persona interessante, mi è piaciuto passeggiare con voi. Sarà per me un piacere ripetere l’esperienza al più presto.”
“Certo, Maestà, quando vuole. Sono sempre a disposizione.”
Mi salutò con un cenno della testa e io feci un inchino. In quei pochi istanti i nostri occhi si fissarono come per evidenziare un’intesa che da quel momento si mantenne sempre tra noi.
Li guardai allontanarsi. Lui aveva un portamento fiero e sicuro, la moglie lo prese sottobraccio e le due nobildonne si misero subito dietro, voltandosi più volte per darmi occhiate furtive e per ridacchiare alle spalle.
“Pettegole!” pensai. Ma fu per un solo istante che diedi importanza al loro stupido comportamento perché, subito dopo, mi tornò alla mente tutto quello che il Re mi aveva appena confidato.
Proseguii la passeggiata all’interno della vigna meditando e vagando con la mente tra mille dubbi e domande. All’improvviso la vigna finì e si aprì davanti ai miei occhi un panorama stupendo: un vasto prato leggermente in salita, pieno di fiori profumati e colorati. Verso ovest si stendeva una pianura verde, rigogliosa e ricca di coltivazioni. Verso est, c’erano le grandi montagne. Attraversai il prato inebriato dagli aromi dei fiori e, più avanzavo, più sentivo un rumore di acqua violenta e impetuosa. Mi fermai e voltandomi, mi resi conto di aver camminato per qualche ora; Courte Village la vedevo più in basso, lontana e rimpicciolita. Percorsi l’ultimo tratto in salita e bruscamente mi ritrovai sulla riva di un fiume la cui acqua passava rapida e precipitava per parecchie decine di metri, formando un’imponente cascata, rivolta verso la pianura a nord. Mi diressi verso un promontorio a picco sullo strapiombo e quando lo raggiunsi avevo il cuore in gola e il respiro affannato. Fu emozionante osservare dall’alto la pianura verso nord e Courte Village piccolissima, respirare a pieni polmoni, ammirare la potenza dell’acqua e guardare ancora l’orizzonte lontano.
“Salve maestro!”
Una voce alle mie spalle mi fece trasalire. Toccandomi con la punta della sua grezza lancia, nel mezzo della schiena, Glauco mi aveva spaventato, cogliendomi di sorpresa. Mi voltai e vidi i suoi occhi allegri.
“Lo sa che se fosse stato un maestro antipatico a quest’ora sarebbe morto?”
“Vi devo ringraziare doppiamente, allora.”
“Perché?”
“Per prima cosa perché mi avete risparmiato la vita.” Glauco sorrise abbassando la sua arma. “Poi perché mi fate intuire che per voi sono un maestro simpatico.”
Mi accorsi che lì vicino c’era anche Federica. Aveva anche lei una lancia in mano, ma non si avvicinava e mi guardava con simpatia.
“Principe Glauco non mi avete ancora presentato alla vostra amichetta.”
“Sì, certo, lo faccio subito.” La prese per mano e la spinse avanti. “Maestro Trevor, le presento la mia migliore amica, si chiama Federica.”
Lei accennò a un inchino come aveva fatto con il Re e poi sorrise.
“Piacere, Federica. Sono incantato, sei veramente una bellissima bambina.”
“Grazie, Signor maestro.”
Teneva i capelli color oro legati a coda di cavallo, la quale scendeva lungo tutta la schiena, il vestitino azzurro le lasciava le sottili braccia nude e nonostante fosse la figlia di un custode, notai che aveva una pelle chiara e delicata come quella di una bambina d’alto rango.
“Ma dimmi Glauco, sono curioso di sapere perché ti sto così simpatico, in fondo abbiamo fatto poche lezioni insieme, non ci conosciamo ancora bene.”
Ci stavamo allontanando dalla rupe, perché ritenevo fosse un luogo pericoloso per i bambini e perché così avremmo parlato meglio senza il fragore continuo della cascata.
“Mio padre mi ha raccontato che lei conosce bene il mondo e che mi porterà con lei a conoscerlo e soprattutto che mi porterà in Southterrae.”
Rimasi sorpreso. Il progetto del Re aveva radici profonde, non era un pensiero vago affiorato all’improvviso alla mente che si diletta a fantasticare.
“Maestro, io avrei un grande desiderio.”
“Se posso, lo realizzo,” gli risposi soprappensiero.
“Vorrei che, fino a che non partiremo, Federica possa studiare con me e imparare a scrivere e a leggere.”
Pensai che poteva essere una cosa positiva, perché Glauco avrebbe avuto un rivale nello studio, che lo avrebbe stimolato maggiormente a impegnarsi. Entrambi mi guardavano con occhi supplichevoli e aspettavano ansiosi la risposta.
“Va bene.”
“Evviva!” urlarono saltando.
“Ma, non credere che ci sia meno da studiare. Federica dovrà impegnarsi almeno quanto te. Non devi rimanere indietro nel programma e, se lei non ce la farà, vorrà dire che dovrà smettere, perché tu non puoi essere rallentato.”
“Mi impegnerò al massimo!” Urlò Federica battendosi la mano sul petto, come fanno i cavalieri, quando prestano giuramento. “Sarò più brava di Glauco e meraviglierò mio padre e il Re.”
“Non credere che sia così facile battermi, carina!”
Corsero avanti duellando con le lance fatte da loro con rami di salice. Forse avevo raggiunto il mio scopo. Guardai i due ragazzini allontanarsi e poi mi voltai verso la cascata, lontana. Quel luogo era fantastico, regalava emozioni forti. Talvolta inquietanti.
Quella sera decisi di andare a parlare con i genitori della bambina, che ancora non conoscevo. Volevo ricevere la loro approvazione. Furono sorpresi, la mia visita li mise in imbarazzo; non capivo se era per il colore della mia pelle o perché non si aspettavano che un funzionario del Re si presentasse a casa loro. Mi fecero accomodare su una poltrona in una sala con un grande camino spento e arredata con cura; mobili e tappeti di un certo valore, forse scartati dal palazzo di corte. Stavano in piedi davanti a me in silenzio, Federica dava la mano a sua madre e un po’ si nascondeva dietro la sua ampia gonna. La guardai e le sorrisi:
“Ciao, Federica,” le dissi “perché ti nascondi? Lo so che non sei timida.”
Il padre, un uomo alto e robusto, intervenne subito: “Ne ha combinata una delle sue?” Era preoccupato e capii che era già pronto a sgridare e a rimproverarla.
“No, non si preoccupi.” Mi affrettai a chiarire. “Federica è una bambina bravissima. Sono venuto per chiedervi una cortesia. Il Principe Glauco vorrebbe studiare insieme a vostra figlia. Io ho pensato che potrebbe essere una cosa utile per entrambi e gli ho dato il mio assenso. Ora però vorrei anche la vostra approvazione.”
Rimasero sorpresi, immobili come statue di cera. Il padre era un uomo forte, muscoloso, dall’aspetto fiero. Appariva ancora giovane anche se alcuni capelli bianchi cominciavano a mischiarsi a quelli neri, vicino alle tempie. Indossava una camicia chiara e dei pantaloni scuri entrambi puliti, doveva essersi appena lavato, dopo una lunga giornata di lavoro. La madre era elegantemente vestita con un abito verde a fiorellini bianchi, rifinito di merletti altrettanto bianchi sulle maniche e sullo scollo, il quale lasciava intravedere un decoltè giovane e sodo. La sua pettinatura era in ordine, i capelli perfettamente raccolti, il viso era giovane e fresco; ella non sembrava essere affaticata dal duro lavoro della giornata. Mi diede l’impressione di essere una donna solare e allegra. Non era bella come Federica, ma i capelli biondi, gli occhi chiari e i lineamenti dolci la rendevano affascinante. Osservandoli mi resi conto che la figlia aveva preso le caratteristiche migliori di ognuno di loro.
Ci fu silenzio per un lungo istante, poi ripresi.
“Non spaventatevi, non sarà un impegno così gravoso per vostra figlia e poi imparerà a leggere e a scrivere, cosa molto importante che non tutti hanno la possibilità di ottenere.”
Intervenne la madre timidamente: “Ma ce la porterete via alla fine dell’estate?”
“No signora, la bambina rimarrà con voi e in poco più di due mesi avrà imparato a leggere e a scrivere.”
Il padre tagliò corto: “Non ci vedo niente di male, l’importante è che per voi non sia un disturbo.”
“No, non lo sarà di certo.” Li osservai per un altro istante: sembravano sereni. Così mi alzai e aggiunsi: “Va bene, allora domani si inizia. Federica ti aspetto.”
Le accarezzai una guancia e feci per dirigermi verso l’uscita, quando la signora mi chiese:
“Vuole qualcosa da bere? Che stupida, non le ho offerto niente. Un bicchiere di vino rosso?”
“No grazie, signora. Lei è gentilissima, ma ho appena finito di cenare.”
Salutai cordialmente e me ne andai soddisfatto, convinto che il loro imbarazzo iniziale fosse dovuto al colore della mia pelle. Non era cosa abituale incontrare un uomo di pelle nera da quelle parti. Queste persone mi avevano dato fiducia, pur essendo per loro un estraneo, ciò mi procurò una certa sicurezza. Forse essere il maestro del figlio del Re, fa onore alla reputazione.
Federica e Glauco studiarono insieme tutta l’estate con impegno, non stancandosi mai di stare insieme. Anche nel gioco andavano sempre d’accordo. Alla fine dell’estate erano entrambe allo stesso livello, Federica era una studentessa molto diligente e appassionata, le piaceva leggere i romanzi storici e studiare le materie scientifiche. Glauco non voleva essere da meno, ma la sua passione era la storia dei popoli e la geografia. Capivo che mi ammirava solo per il fatto di aver girato il mondo.
Nel tempo libero li portavo spesso in una radura sotto alla cascata. Quel luogo divenne presto il loro preferito. Lì insegnai loro e giocare a scacchi e a nuotare. Accanto alla cascata vi erano grossi e rigogliosi cespugli di rose, che Federica imparò ad amare e a curare.
Vi ci recammo insieme anche un pomeriggio di metà settembre, uno degli ultimi giorni di vacanza. Glauco e io saremmo partiti con l’intera corte dopo una settimana o poco più. L’aria non era più afosa. Dopo alcuni temporali dei giorni precedenti, si era rinfrescata, ma il desiderio di tuffarsi in quelle acque così limpide, si faceva sentire ancora.
Arrivammo con i cavalli al galoppo; i due ragazzini si divertivano a far correre i loro animali al massimo della velocità. Pur essendo giovanissimi erano ottimi cavallerizzi. Quel giorno Glauco era particolarmente euforico e decise di buttarsi in acqua insieme al suo cavallo, ma l’animale non era dello stesso parere e si fermò bruscamente non appena affondò le zampe in acqua. Glauco fu sbalzato in avanti cadendo, per fortuna, dove l’acqua era già alta.
“È fredda gelata!”
Federica, ancora in sella, scoppiò a ridere, poi mi guardò come volesse dirmi che avevo un amico un po’ pazzo.
D’improvviso divenne seria e osservò:
“Ci sono le rose d’autunno, sono fiorite le ultime rose dell’estate.”
Smontai da cavallo e mi avvicinai a lei; era triste. Glauco la osservava senza più il sorriso sulle labbra. Forse intuivo il motivo di quel comportamento, ma ugualmente chiesi:
“Cosa vuoi dire? Non sono forse le più belle?”
La guardai abbassare lo sguardo, come per nascondere una lacrima. Poi rispose:
“Certo sono meravigliose, la fioritura di settembre è bellissima, almeno quanto quella di primavera, ma sono molto triste perché è il segnale che l’estate sta finendo e che voi presto ve ne andrete.”
Restammo qualche minuto in silenzio a osservare quella splendida fioritura. C’erano rose di tutti i colori possibili, con tante sfumature, alcune sembravano avere il calore del fuoco nel cuore, altre davano la sensazione di una elegante freddezza. Tutte indistintamente però, erano belle, rigogliose e profumatissime. Mi scossi a fatica da quella specie di incantesimo e cercai di risollevare il morale a tutti:
“Beh! Qualche giorno ancora da godervi, c’è. Pensate che potete divertirvi ancora per un po’.”
“Allora è già stato deciso il giorno della partenza?” Mi chiese Federica con voce mesta.
“Sì.” Risposi “Tra otto giorni partiremo. Settembre è già avanti, il Re ha tantissimi impegni ufficiali, a cui non può sottrarsi. Glauco oltre allo studio, dovrà iniziare l’addestramento. Ormai ha undici anni, è un principe e come tale deve imparare il mestiere delle armi.”
“Certo, maestro.” Ammise Federica con un filo di voce.
Dopo aver giocato un po’ con un vecchio pallone di cuoio, lasciai che i ragazzi continuassero da soli. Affaticato mi buttai sul prato a osservarli correre, spingersi, urlare e calciare quella sfera un po’ deformata. Mi chiesi quale futuro li aspettava. Erano molto affezionati e chissà se la vita avrebbe dato loro la possibilità di rimanere insieme oppure se le loro strade si sarebbero divise. Di una cosa ero certo: Federica e Glauco avrebbero atteso con trepidazione l’arrivo dell’estate successiva.
E così fu per altre quattro estati di seguito. Glauco ai primi tepori primaverili, cominciava a pensare alla corte estiva e alle vacanze con la sua amica di giochi.
Federica la si vedeva da lontano, attendere in sella al cavallo in cima al promontorio sulla cascata, guardare il nostro arrivo e galoppare verso la nostra carovana quando ormai era vicina. Erano sempre più legati. Ogni estate più vicini.
Giunti alla quinta estate però, ci fu un’interruzione, perché il Regno era entrato in guerra e la corte non ebbe la possibilità di spostarsi. Glauco dovette rinunciare alle vacanze e allenarsi continuamente, per ordine del Re. Ormai aveva sedici anni e stava diventando un uomo. Ero sempre più fiero di lui, come può essere un padre per il proprio figlio. Ero il suo maestro e il suo addestratore, ma mi considerava anche un amico; ero diventato anche il suo consigliere. Egli aveva fiducia in me e io ne ero felice.
Così passarono le stagioni; la guerra si prolungò per due lunghissimi anni e quando finì, per fortuna con una nostra vittoria, Glauco che aveva quasi diciotto anni mi confidò:
“L’estate è ormai alle porte, voglio andare a Courte Village. Leggo e rileggo le lettere di Federica. Sono passati tre lunghi anni. Ho voglia di rivederla.”
Le sue parole mi preoccuparono. Non era più un bambino che parlava, bensì un ragazzo maturo e forse per la prima volta, inconsapevolmente, innamorato.
SimonBwww.ildiariodisimonb.comLetteratura, artee attualità.
|
![]() |
Lascia un commento